LA SORELLA di Sándor Márai

Pubblicato nel 1946, La sorella di Sándor Márai si colloca come primo libro scritto dopo il successo
letterario di Le braci. È l’ultima opera stampata dall’autore in Ungheria durante il periodo del regime comunista: perseguitato dal governo a causa della sua presa di posizione critica verso tutti i regimi dittatoriali, Márai decise infatti di lasciare la patria e perseguire la strada dell’esilio volontario appena due anni dopo, rifugiandosi prima in Svizzera, poi in Italia, e infine negli Stati Uniti, dove continuò a scrivere in ungherese.

Sándor Márai poeta: "Credo in questa vita, ora e sempre" - PangeaForse fin troppo sottovalutato al di fuori del suo paese natale, Márai è oggi considerato uno dei più grandi scrittori europei del Ventesimo secolo.

La narrazione di La sorella è ambientata durante la seconda guerra mondiale. Z., è un grande pianista ungherese di fama internazionale ed è stato invitato dal governo italiano per esibirsi in concerto a Firenze. In viaggio verso la città – proprio nel giorno in cui Varsavia cade nelle mani di Hitler –. sta pensando di suonare Chopin come proprio personale omaggio a quel popolo vicino e offeso, quando nel vagone letto di prima classe del treno a cui è stato assegnato, vicinissimo al confine italiano, avverte la sensazione che qualcosa nella sua vita sta per cambiare irrimediabilmente e definitivamente, ma non riesce a capire cosa: “Era quello il momento in cui ‘cominciò’, in cui la mia vita si separò da tutto quello che precedentemente ne aveva costituito la condizione e il senso, in cui qualcosa in me morì, ed io allo stesso tempo rinacqui, come se fossi morto per la vita e nato per la morte”.

Tutto è destinato a mutare dall’istante in cui il musicista, sdraiato sulla cuccetta del treno alle prime luci dell’alba, sente la voce che gli annuncia che da lì in avanti nella sua vita tutto sarebbe stato “diverso”: la musica, la percezione del proprio corpo, il suo rapporto col mondo, con E. – donna di mondo bella e colta alla quale è legato sentimentalmente nonostante lei sia sposata – e con ogni persona da lui amata. Il concerto a cui prenderà parte sarà infatti l’ultimo; subito dopo sarà obbligato ad essere ricoverato in ospedale poiché ha contratto un virus rarissimo e micidiale.

La parte centrale della narrazione è quindi dedicata alla descrizione dei lunghi mesi di sofferenze vissuti all’interno dell’edificio, esperienza che costituisce una vera e propria discesa negli inferi. È la malattia, ora, a dettare i suoi ritmi e le sue leggi, imponendo la sua presenza nella quotidianità di Z. che, costretto a sottostare a questo nuovo ordine, accetta la realtà come un “malato regolare, diligente e professionale” al punto da arrivare a provare anche l’oppressione della noia: “Perchè noi esseri umani […] siamo capaci, a volte, di farci venire a noia persino l’inferno.”

Provato dalla solitudine, stremato dal dolore e annichilito dalle dosi di morfina prescritte dai
dottori, Z. vive una vera odissea tra la vita e la morte. Le uniche presenze che lo accompagnano in questa esperienza sono quattro suore – Dolorissa, Cherubina, Carissima e Mattutina – entità “angeliche” ma pure “ruffiane”, che vigilano su di lui benefiche e allo stesso tempo inquietanti, oltre che sempre sfuggenti, volti di una trance particolare, dell’agonia di una mente malata, distrutta, e protagoniste, insieme al paziente e al professore che lo cura, di notti chimiche fatte di iniezioni, radiazioni, farmaci e sangue.

Sarà grazie alle cure delle quattro sorelle, oltre a quelle dei medici, e al richiamo misterioso di una voce di donna che sussurra all’orecchio di Z. le parole: “Non voglio che lei muoia” che il protagonista riuscirà a riprendersi, riemergendo dal baratro lottando per la sua sopravvivenza proprio nel momento in cui sembrava aver rinunciato a lottare, per poi riuscire a tornare nel mondo completamente guarito.

In La sorella esperienze di vita, di passioni e di morte si incontrano e si confondono. Da un lato, l’amore provato dal celeberrimo artista per E. – donna bella e fascinosa sposata con un anziano diplomatico – lo rende vittima di una relazione morbosa che, con il passare del tempo, diventa per lui sempre più logorante, fino a spingerlo a fare della musica un rifugio consolatorio. L’invito del governo italiano appare proprio l’occasione adatta a favorire la dissoluzione di un legame tanto ossessivo quanto vitale e allo stesso tempo insensato e funesto. Dall’altro, il rapporto che Z. ha con la musica e con la dimensione dell’esibizione rappresenta a pieno quel sentimento di universalità e comunione mistica che viene a crearsi tra concertista e pubblico, esaltandone la forza comunicativa, emotiva ed esperienziale.

Dopo l’ultimo concerto a Firenze, però, la malattia “si è presa la musica”: Z. si chiede se non si sia ammalato perché il suo corpo non tollerava più “quell’esercizio meccanico in cui è trasformato il talento” che sente “inacidito nella noia e nella disgustosa meccanica dell’esercizio” che per lunghe ore ogni giorno da trent’anni lo ha tenuto incatenato ad una sedia per “domare quella bestia nera e feroce che è il pianoforte.”

Domandandosi se il suo essere stato un servitore della musica non l’abbia condotto al punto che “la musica non era più un’esperienza per me, bensì una sorta di corvée sovrumana.” Z. si chiede, insomma, se non si sia ammalato perché ha perso “il senso della musica.” A poco a poco, parlando coi medici che lo curano, comincia a pensare che se la malattia scaturisce dalla menzogna, allora la sua menzogna consiste nel fatto di non saper/voler riconoscere che la musica è ormai diventata per lui solo un “terribile mostro”.

Attraverso una prosa classica e possente, il romanzo di Sándor Márai riesce a raccontare la malattia con precisione, con tensione, senza nulla togliere alla crudezza delle situazioni, in una fusione allucinatoria tra fisico e psichico, sullo sfondo delle tragedie degli esiliati nella Seconda guerra mondiale.

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